Francisco de Goya y Lucientes, uno dei più grandi pittori spagnoli, nasce il 30 Marzo 1746 a Fuendetodos, un piccolo paese vicino a Saragozza. Con la sua numerosa famiglia (Francisco è quarto di sei fratelli), si trasferisce nel 1759 a Saragozza, perché il padre, maestro doratore, spera di migliorare le loro condizioni economiche.
Francisco Goya riceve un’istruzione sommaria, ma dall’età di quattordici anni, viene preso come apprendista nello studio del pittore José Luzán y Martínez, dove studia la tecnica del disegno.
Nel 1763 il diciassettenne Francisco Goya si trasferisce a Madrid, con il sogno di essere ammesso all’Accademia delle Belle Arti di San Fernando che assegna una borsa di studio. Qui partecipa, senza successo, a due concorsi indetti per l’ammissione, intanto lavora come apprendista di Francisco Bayeu, anche lui allievo di Luzan, divenute pittore di corte.
Nel 1769, Francisco Goya, parte per l’Italia e si stabilisce a Roma, dove dipinge con i pittori romani di Via Condotti e Piazza di Spagna.
Il pittore, che a quel tempo era in linea con il gusto rococò, stava sviluppando una particolare attenzione per i contrasti cromatici.
Da Roma Goya invia a Parma il quadro “Annibale vincitore che rimira per la prima volta dalle Alpi l’Italia”, per partecipare al concorso per l’ammissione all’Accademia di Parma, ottenendo una menzione speciale, ma non l’ammissione.
Tornato in patria Francisco Goya si stabilisce a Saragozza dove gli vengono commissionati alcuni affreschi per la Basilica del Pilar.
Nel 1774 Francisco Goya riceve l’incarico di dipingere cartoni destinati all’arazzeria reale di Santa Barbara e, tra il 1775 e il 1792, ne dipingerà ben 63, con soggetti bucolici e popolari, rappresentati, secondo i gusti dell’epoca, in modo artificioso e teatrale.
La fama di Francisco Goya, costretto a barcamenarsi fra gli obblighi di cortigiano e le sue legittime aspirazioni artistiche, cresce lentamente, ma finalmente, nel 1780, viene accolto “de mérito”, come membro della Reale Accademia di San Fernando di Madrid.
Francisco Goya “Sabba”
Nel 1783, ingaggiato dal fratello del re, Don Luis, Francisco Goya lavora al palazzo d’Arenas de San Pedro, vicino a Toledo, dedicandosi prevalentemente a ritratti in vario formato, dipinti ad olio.
Il quadro più noto di questo periodo è senza dubbio “La famiglia dell’Infante Don Luis”, opera di grandi dimensioni caratterizzata da una particolare luminosità notturna.
Dal 1785 gode della protezione dei duchi d’Osuna, dipingendo temi campestri per la loro residenza di campagna e alcuni ritratti di famiglia e, l’anno dopo, Goya viene nominato, prima Vice Direttore della sezione di pittura all’Accademia e poi Primo Pittore di Corte.
All’inizio della Rivoluzione Francese, nel 1789, la vita di corte, a Madrid non sembra cambiata: i sovrani si fanno ritrarre in piedi e a mezzo busto da Goya che viene nominato «pintor de camera del Rey».
Mentre si trova in Andalusia, Goya si ammala gravemente e solo alla fine del 1793 sarà in grado di tornare a Madrid, sordo e duramente provato da un attacco di paralisi.
Nonostante la cattiva salute dal 1794 al 1800 Francisco Goya dipinge un numero dArt gallery impressionante.
I soggetti sono spesso ispirati dal gruppo dei suoi amici liberali, aspetti di vita popolare, ma anche le prime scene di follia, stregonerie e supplizi.
Il suo stile cambia, poco a poco abbandona l’uso dei colori freschi per gli effetti monocromatici, usando una pennellata più aspra ed incisiva.
Nel 1797 Francisco Goya inizia a lavorare ai “Capricci”, una serie di 80 incisioni in grande formato, numerate e firmate, che sono una satira appassionata all’eterna miseria umana vista attraverso i costumi del suo tempo.
Con l’utilizzo, artisticamente sapiente dei bianchi e dei neri, Francisco Goya riesce ad ottenere effetti estetici e psicologici unici, esprimendo, con grande fantasia, la sua ribellione contro ogni forma di oppressione e superstizione.
Le incisioni “Disastri della guerra” eseguiti da Goya tra il 1810 ed il 1820 e le due celebri “Fucilazioni”del 1814, documentano, in modo drammatico, le feroci rappresaglie dell’esercito di Napoleone e le sofferenze del popolo spagnolo.
Per complesse ragioni politiche, per maneggi di corte, per le sue posizioni “liberali”, Francisco Goya perde alcuni dei suoi protettori e cade in disgrazia a corte.
Questo è per il pittore, ormai ultrasettantenne, l’occasione per ritirarsi nella sua casa di campagna, la “Quinta del Sordo”, dove ricopre le pareti con immagini angoscianti e visionarie: le cosiddette “Pitture nere”.
Nel 1824 parte per la Francia e si stabilisce a Bordeaux dove muore il 16 Aprile del 1828.
Nei suoi ultimi lavori, nonostante la malattia, i problemi di vista e la sordità, Francisco Goya si esprime con una tecnica che mostra come la sua arte fosse ancora in evoluzione.
“La maja desnuda” (1800) é uno dei dipinti piú famosi di Francisco Goya, oggi conservato al Museo del Prado di Madrid. Benché il suo genio porti Goya a trascendere ogni possibile movimento o tendenza artistica, è possibile collocare il quadro nell’ambito del Neoclassicismo. Pur in questo ambito, tuttavia, quest’opera, come altre dello stesso autore, risulta audace e singolare per l’epoca, come parimenti audace è l’espressione dello sguardo e l’atteggiamento della modella, che sembra sorridere soddisfatta e contenta delle sue grazie: è la prima opera d’arte a noi pervenuta nel quale vengono dipinti i peli pubici, che risaltano nel complessivo erotismo della composizione.
Oltre agli altri nudi che si trovavano nel gabinetto segreto di Godoy, gli studiosi hanno individuato altre possibili fonti iconografiche, in particolar modo Tiziano e le sue opere presenti nelle collezioni reali: il Baccanale degli Andrii, la Danae, Venere e Adone. Tiziano doveva avere comunque un ruolo importante se, come nota Pérez Sánchez, nello stesso periodo anche Füssli prende a riferimento per un suo nudo il maestro veneziano.
Nella cultura occidentale, fino a Goya la rappresentazione del corpo nudo femminile ha sempre dovuto ricorrere a vari sotterfugi (“temi mitici”…); con questo dipinto la donna è reale, carne e sangue. È cioè il ritratto sconcertante e preciso di una donna nuda sdraiata fra lenzuola stropicciate che espone la propria sessualità per attrarre lo spettatore: si comprende come dovette essere celata sotto l’immagine ben più rassicurante e generica della Vestida. Il volto è affilato, sottile, gli occhi allucinati, senza trucco ma vivi e mobili, i capelli morbidi e arricciati. Il corpo, di orgogliosa naturalezza, dalle minute proporzioni, è particolarmente luminoso.
La luce del corpo crea un forte contrasto con il resto dell’ambiente – tutt’uno con la tipica espressività che Goya sa dare ai suoi occhi. Seppur dentro la tipica forza delle pennellate che caratterizza Goya, l’artista si è superato nel trattamento dell’incarnato ambrato e nella realizzazione del damascato del divano, attraversato da un sottile reticolo: la colorazione risulta da un minuzioso gioco di verdi che contrasta col bianco rosato dell’incarnato, e in questo modo la Maja sembra brillare di luce propria, sospesa nello spazio oscuro che la circonda.